LinkedIn affronta una causa legale per aver presumibilmente condiviso i messaggi degli utenti per addestrare i modelli di Intelligenza Artificiale
LinkedIn si trova ad affrontare una class action da parte degli utenti Premium, che sostengono che la piattaforma abbia condiviso i loro messaggi privati con terze parti per addestrare modelli di intelligenza artificiale generativa senza un adeguato consenso, come riportato da Reuters.
Hai fretta? Ecco i fatti essenziali!
- I querelanti accusano LinkedIn di aver aggiornato silenziosamente la sua politica sulla privacy a settembre.
- La causa legale chiede $1,000 per utente per violazioni federali della privacy dei dati.
- LinkedIn nega tutte le accuse, definendo le affermazioni “reclami falsi senza merito”.
La causa legale, depositata presso il tribunale federale di San Jose, California, afferma che LinkedIn ha introdotto un’impostazione sulla privacy ad agosto che consente agli utenti di scegliere se aderire o meno alla condivisione dei dati.
Tuttavia, i querelanti sostengono che la piattaforma ha aggiornato la sua politica sulla privacy il 18 settembre per consentire l’uso dei dati personali per la formazione dell’IA e ha divulgato ciò solo attraverso un link nascosto nelle FAQ. Si sostiene che il link indicasse che l’opt-out non avrebbe avuto effetto sui dati già utilizzati per scopi di formazione.
La denuncia accusa LinkedIn di aver violato deliberatamente la sua promessa di utilizzare i dati degli utenti esclusivamente per migliorare la piattaforma, suggerendo che l’azienda cercasse di minimizzare lo scrutinio pubblico e legale, come riportato da Reuters.
La causa è stata presentata per conto degli utenti Premium che hanno inviato o ricevuto messaggi InMail e hanno condiviso i loro dati prima dell’aggiornamento della policy di settembre.
The Register riporta che LinkedIn ammette di utilizzare “dati personali e contenuti che crei” per la formazione dell’IA e la condivisione di questi dati con terze parti per lo sviluppo del modello. La causa mette in dubbio se ciò includa i messaggi privati InMail, disponibili per gli abbonati a pagamento.
La causa sostiene che LinkedIn abbia violato le sue promesse contrattuali condividendo i messaggi privati dei clienti Premium con terze parti per formare modelli di intelligenza artificiale generativa, come riportato da The Register.
Questi messaggi potrebbero contenere informazioni sensibili riguardanti l’impiego, la proprietà intellettuale, la retribuzione e questioni personali, sollevando seri problemi di privacy.
La causa si concentra in particolare sui clienti Premium, ovvero coloro che si abbonano a livelli come Premium Career, Premium Business, Sales Navigator e Recruiter Lite, che sono soggetti al LinkedIn Subscription Agreement (LSA), come riportato da The Register.
Questo accordo prevede specifici impegni sulla privacy, tra cui una clausola nella Sezione 3.2 che promette di non divulgare le informazioni confidenziali dei clienti Premium a terzi, come riportato da The Register.
Il processo sostiene che LinkedIn abbia violato questa clausola, infrangendo la legge americana sulle comunicazioni archiviate, i termini del contratto e le leggi californiane sulla concorrenza sleale.
Tuttavia, The Register nota che i querelanti non presentano prove che i contenuti di InMail siano stati condivisi. Invece, il reclamo specula che LinkedIn abbia incluso questi messaggi nei dati di addestramento dell’IA.
Questa supposizione si basa sulle presunte modifiche non annunciate alle politiche di LinkedIn e sul suo mancato rifiuto pubblico di accedere ai messaggi InMail per scopi di formazione, come riportato da The Register.
I querelanti cercano un risarcimento per violazione di contratto, violazioni della legge sulla concorrenza sleale della California, e $1.000 per utente secondo la Stored Communications Act federale, come riportato da Reuters.
LinkedIn ha negato le accuse, definendole “false affermazioni senza merito”, riporta Reuters. Inoltre, i rappresentanti legali dei querelanti non hanno ancora fornito ulteriori commenti, hanno notato Reuters e The Register.
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